Sono felice. Sto facendo una delle cose che mi rende più felice, comunicare, scrivere. Il post di domenica è stato letto da tantissime persone e questo mi fa ancora più felice. Io scrivo per essere letto, scrivo perché voglio comunicare. Questo blog, non è il mio diario personale, è il mio urlare al mondo quello che penso e che provo. Mi piacerebbe che fosse più interattivo, mi piacerebbe avere più commenti, creare una vera condivisione. Credo sia importantissimo per la mia crescita la possibilità di confrontarmi con le diverse visione del mondo, attraverso la condivisione.
Sono un animale sociale, ho bisogno degli altri per realizzare me stesso.
Due sabati fa, ho camminato sui carboni ardenti. Tecnicamente ho fatto una Pirobazia. E’ stato bello e intenso, ma non per le 4 volte che ho attraverso il tappeto di carboni, ma perché l’ho condiviso con un gruppo di persone speciali. Non ci conoscevamo, non c’erano ruoli e quindi pre-giudizi, eravamo tutti simili nelle nostre diversità, soprattutto eravamo tutti uguali davanti al fuoco, davanti alla paura del fuoco. Questo è stato il vero valore di quell’esperienza: condividere, con l’umiltà dei tutti simili, una forte prova di coraggio. Per essere simili, non bisogna essere uguali in tutto, basta un elemento di unione, in quel caso il fuoco. Quando si è simili, quando ci concentriamo sulle cose che ci uniscono, si diventa parte del gruppo, e la forza del gruppo diventa la nostra forza per superare i nostri limiti. Per superare la paura del fuoco e fare il primo passo.
Di quelle ore non ricordo il calore del fuoco, e vi garantisco che scottava, ricordo il calore del gruppo. Il calore delle persone speciali di quel gruppo.
Parlo spesso dei nostri limiti, limiti che mettiamo noi su di noi. Limiti sulle nostre capacità. “Non posso fare questo”, “non sono capace a fare quest’altro”, “per guarire ho bisogni di quella medicina”, “l’inglese non lo imparerò mai”, “ho paura dei ragni”. Il nostro quotidiano è la gestione dei nostri limiti per sopravvivere, quando dovrebbe essere, superare i nostri limiti per trovare tutta la forza delle nostre capacità, per fare quello che ci rende felici. Superare i nostri limiti per vivere a pieno tutto il bello che ci offre il mondo.
Con l’esperienza della Pirobazia, ho capito che oltre ai limiti che poniamo su noi stessi, dobbiamo superare i limiti che ci poniamo nei confronti degli altri. I rapporti sono regolati da dei limiti, molti legati a quelle che noi consideriamo diversità. Pensate solo al rapporto uomo-donna, quanti limiti ci sono che impediscono la possibilità di trarre forza da questo rapporto. O si è una coppia o tutto è più difficile. Difficile pensare serenamente a una semplice amicizia uomo-donna, senza ipotizzare che comunque potrebbe nascere una storia. Cosa che non accade mai se il rapporto è uomo-uomo. Ci sono i limiti legati ai ruoli, i limiti di rapporto fra dirigente e sottoposto, fra dottore e malato, fra insegnate e alunno. Dove c’è un ruolo c’è almeno un limite legato alla diversità. Ci sono i limiti legati all’intimità. Sappiamo che certe domande non si possono fare perché “sono troppo intime”, limitando la possibilità di condividere determinate cose e dare valore al rapporto. Tantissimi i limiti legati al giudizio. Non voglio avere rapporti con quella persona perché ha una cattiva fama, un cattivo giudizio sociale, magari solo per il diverso colore della pelle o per il diverso accento o per il diverso Dio a cui crede.
Superare questi limiti, ci permette di creare un rapporto più intenso con gli altri, ci permette di diventare un gruppo unito e l’energie del gruppo rendono ancora più forti e intense le nostre. Da soli si può fare tanto, ma in gruppo si può fare anche l’impossibile, come camminare sui carboni ardenti.
martedì 28 giugno 2016
domenica 26 giugno 2016
Felice, insoddisfatto o solo stanco? Comunque, qualche cosa ho imparato.
Domenica mattina, fa caldissimo ma la brezza che entra dalla
finestra aperta è un bel sollievo. Di fondo il silenzio, interrotto solo dai
rumori del bosco e dal foglio appeso alla parete che sventola. Qualche uccellino
mi da il segno di non essere l’unico essere vivente nel mio qui e ora. C’è
anche una mosca che mi ronza intorno, segno dell’evidenza che il mondo non è
perfetto.
Vorrei raccontare la mia esperienza di ieri, per tutti ma soprattutto
per Xander e Kiki ma oggi non so da dove iniziare. Non so dove cercare, se
cercare nel cuore, nella testa o nell’anima. Del resto l’esperienza è un
momento di vita, elaborato dalla testa, valorizzato dal cuore e assorbito
dall’anima. Senza i tre elementi non è vita. Dimenticavo, c’è anche il corpo,
strumento necessario e di grande valore, e nella mia esperienza di ieri di
grande impatto.
Sono le 20 di venerdì sera, sono in giro per Cuneo e fa
caldo, e per me il caldo è energia del fare. La stessa fisica quantistica dice
che il calore è l’evidenza del movimento e quindi della vita e del passare del
tempo. Vi consiglio di leggere “Sette brevi lezioni di fisica” di Carlo Rovelli
per approfondire l’argomento.
E’ stata una giornata particolare. Un viaggio di 500km in
mattinata, spero per un accordo di grande valore, e poi le ultime ore del
pomeriggio in un’atmosfera strana, quella dell’intensità che da senso al tempo.
I bambini e Yara sono al mare, so che sono in vacanza e in
un posto che a loro piace tantissimo. Non ho rimorsi di non essere con loro, siamo
stati insieme ieri, e quindi mi sento libero. Mi sento di avere la vita nelle
mie mani. Casualmente ho in macchina lo zaino con il cambio per 1 giorno, che
allarga i miei orizzonti di 24 ore. Ho anche le medicine, il mio coltellino
svizzero e il pieno nella macchina. E’ molto più forte la voglia di fare
qualche cosa che quella di tornare nell’appartamento delle terme, da solo.
Decido, prendo l’autostrada e parto all’avventura. Ho la
certezza di voler fare qualche cosa da ricordare, ho qualche idea sulla meta ma
nessun programma. Sono libero.
Si parte all'avventura.
Con Paolo, avevamo organizzato di andare a vedere la
passerella ideata e realizzata dall’artista Christo sul lago di Iseo, proprio per
l’alba di venerdì mattina, sia per lo spettacolo sia per evitare il caldo e la
grande folla. Era tutto organizzato ma all’ultimo momento l’hanno chiusa per
manutenzioni straordinarie, facendo saltare i nostri piani. Andarci da solo mi
dispiace, è tradire l’accordo con Paolo. So però che non avrò altre occasioni,
settimana prossima avrò tutte le mattine impegnate dal ciclo di terapia in
ospedale e la passerella chiude definitivamente domenica prossima.
Deciso, vado a Sulzano a vedere la passerella di Christo.
Sono giorni che scrivono sui giornali di tutti i disagi
legati al grande afflusso, parlano di code, blocchi e tempi lunghissimi. Io non
voglio fare code, soprattutto al sole, non posso prenderlo a causa della GVH,
conseguenza del trapianto di midollo. Non ho vogli e fisico. L’alba non potrò
vederla, perché riaprirà solo alle 6 dopo la manutenzione nella notte, ma
voglio essere tra i primi a salirci per godermi la passeggiata al fresco e
senza folla.
Non ho idea di come è organizzata la cosa, so solo che non
ci si può avvicinare in macchina, in moto e nemmeno in bicicletta. Si può
arrivare a Sulzano solo coi mezzi pubblici, le navette che partono dai vari
parcheggi o a piedi. Mio obiettivo è fare la passerella, il prima possibile per
evitare il sole e la calca. Al come ci penserò durante il viaggio, ho 330 km per
pensarci.
E poi cosa faccio? Ho un giorno d’avventura tutto mio e devo
riempirlo.
Scorro mentalmente la mia lista dei desideri e subito trovo
il volo d’angelo. L’attraversata di una valle appesi a un cavo con una
carrucola. Mi ero già informato e lo fanno vicino a Sondrio. Cuneo è
lontano da Sondrio, il lago di Iseo è lontano da Cuneo, quindi Sondrio e il
lago di Iseo sono vicino. Deduzione non proprio corretta ma decido che alla
prima sosta in Autogrill cercherò su internet. Ho voglia di fare, ho voglia di
fare per poi poter anche raccontare.
Riflessione: È giusto voler fare per poi poter anche raccontare?
Non si dovrebbe vivere per noi e basta?
So e ho scritto e detto tantissime volte che la vita è la
nostra e non ci devono guidare i giudizi degli altri. Il nostro corpo, il
nostro cuore, la nostra testa e la nostra anima sono i giudici più importanti
della nostra vita. Allora perché io voglio fare anche per poter raccontare, e in
qualche modo avere un giudizio anche degli altri?
Dobbiamo essere noi al centro della nostra vita, il nostro
giudizio su noi stessi è più importante di quello degli altri ma questo non
vuol dire isolarsi, siamo comunque animali sociali, animali che vivono in
branco, in comunità, e quindi è anche nostra necessità e valore vivere questa
comunità, raccontandoci. Essere parte di una comunità
è un valore importantissimo, ci ha permesso di sopravvivere per milioni di anni
alle ostilità del mondo, e oggi ci permette di condividere le esperienze nostre
e degli altri, rendendo più ricca la comunità e noi stessi.
Mi fermo a mangiare, telefonino alla mano vedo che posso
prenotare il volo per domani. Nel mio totale ottimismo prenoto per le 11, non
sapendo assolutamente quanto tempo ci vuole ad andare a Sondrio da Iseo.
Fortunatamente la prenotazione non va a buon fine, rifletto e vado a vedere su
google map quanto sono distanti Sondrio e Iseo. Non sono vicine quanto pensassi
ma a occhi, neanche così lontane. Rifaccio la prenotazione per le 13, che
costa anche meno.
Arrivo a Iseo, il mio passato da esploratore dell’8°
Reggimento di cavalleria “Lanceri di Montebello” mi aiuta a capire qual è il
parcheggio più vicino per poi poter andare a Sulzano a piedi, fortunatamente per
la mia tranquillità, è anche quello che si trova fra la stazione dei
carabinieri e quella della polizia. Le navette inizieranno a circolare solo
alle 6, quando aprirà anche la passerella, ma io voglio arrivare prima e non c’è altra alternativa che andarci a
piedi. Sono circa 5 km. Non ci penso più di tanto e decido di dormire in
macchina, aumentando ancora di più l’effetto avventura.
Nonostante la passerella avesse chiuso alle 22, c’è ancora
gente che sta arrivando a piedi da Sulzano. Questo mi crea qualche dubbio sul fatto che
non sia così vicino come penso.
Sono le 00.15 e ipotizzando un’ora a piedi per arrivare alla
passerella, metto la sveglia alle 4.15. Sono un può stressato dai tempi, la
paura è di infilarmi nel casino della calca facendo saltare il mio piano di
andare a Sondrio.
Tutte le macchine parcheggiate vicino a me, hanno dentro
persone che dormono o si stanno preparando per dormire. Stendo il sedile del
passeggero, mi tolgo le scarpe e mi addormento.
La mia camera da letto per questa notte.
Alle 4 mi sveglio, mi scappa la pipi. Situazione non
prevista. Nel totale rincoglionimento ipotizzo le varie soluzioni. Farla vicino
alla macchina no, tutta la zona del parcheggio è illuminata dai lampioni della
strada e vedo che ci sono già delle persone che stanno iniziando ad andare a
piedi a Sulzano. Ho alcune bottiglie vuote in macchina, provo alcune posizioni
ma c’è solo il rischio di fare un gran casino. Anche se era una buona
soluzione, riempivo la bottiglia e poi uscivo e la svuotavo vicino a un albero.
Rimane la soluzione di allontanarmi in cerca di un posto non illuminato.
Scendo, fa caldo. C’è una leggera brezza ma fa caldo. 20 metri e supero
l’imprevisto. Sono le 4.15, sono sveglio e c’è già diversa gente in movimento.
Rinuncio a cercare di rimettermi a dormire ma soprattutto inizia lo spirito di
competizione per arrivare fra i primi. Preparo lo zaino il più leggero
possibile, pendo la medicina per la tiroide, cambio le scarpe e chiudo la
macchina. Si parte. E’ ancora buio.
E’ più lungo di quanto pensassi, arrivo verso le 5.15 e ci
sono già 300 persone in coda. La camminata è stata bella, fatta con un paso
deciso per cercare di superare quelli davanti e per non farsi superare da quelli
dietro. Pochissimo spirito di gruppo, tantissimo spirito di competizione.
Vedendo i bivacchi, capisco che molti hanno passato lì la
notte. Sono quasi tutti ragazzi del posto, l’accento è abbastanza
caratteristico, molti con un buon tasso di alcol in corpo che si capisce sia da
come sbiascicano le parole sia e soprattutto dalle lattine di birra vuote.
Sono stanco, fisicamente sento le poche ore di sonno ma
soprattutto i 5 km a piedi a buon passo, e non sono di buon umore. Non ho
ancora fatto colazione. Pessime premesse per affrontare la massa calcante di
persone in coda. Accetto che il mondo è imperfetto e che nonostante i mille
cartelli di divieto, ci sono persone che fumano, alcune addirittura scavalcano
le transenne per saltare un po’ di coda.
Alle 5.45 inizia a muoversi la coda, avanziamo a tratti e
alle 6.15 sono finalmente sulla passerella.
I 300 che mi aspettavano
Lo spettacolo e le sensazioni sono bellissime. Rimane comunque
un velo di stress per la stanchezza, la paura di raffreddarmi, sono sudato e
tira vento, e per voler arrivare a Sondrio in tempo. Non sono molto lucido, sono
focalizzato nel fare i circa 10km fra andata e ritorno il più veloce possibile.
L’obietto è il fare più che il godere.
Riflessione: L’obiettivo è il fare più che il godere. Qui ho
sicuramente sbagliato, mi sono lasciato prendere dallo stress di non riuscire a
fare quello che mi ero programmato, di non riuscire ad andare a Sondrio per il
volo d’angelo. Non era concentrato su quello che stavo vivendo ma sui vari
scenari futuri. Non stavo sicuramente vivendo. I miei sensi erano settati
sull’allerta, continuavo a mettermi e togliermi la felpa per paura di sudare
troppo ma anche di non prendere troppo vento. Le sensazioni analizzate non
erano quelle del bello ma quelle del pericolo. Ero sicuramente più concentrato
nel raggiungere la meta che nel godere del viaggio.
7.25, fra i primi finisco il giro. All’ingresso c’è la calca
che temevo, fortunatamente non è la mia calca. Mangio una brioche, prendo una
bottiglia d’acqua e finisco la colazione prendendo le mie pastiglie. Parte della mia stanchezza e la poca lucidità sono causate
dalla disidratazione, non bevo da ieri sera e ho camminato per 14 km.
Quelli che stavano iniziando quando ho finito io e il temporale sullo sfondo.
Le mie pillole del mattino.
Non
voglio ma soprattutto non ce la faccio a tornare alla macchina a piedi.
Fortunatamente tutto è tornato operativo, aspetto qualche minuto e arriva
l’autobus di linea. Alle 8 salgo in macchina, sono soddisfatto e felice.
All’orizzonte un temporale (che qualche ora dopo costringerà il prefetto di
Brescia a sgombrare e chiudere la passerella). Metto sul navigatore Fly
Emotion, 144 km e 2 ore e 19 minuti.
Parto. Qualche difficoltà per uscire da Iseo per le tante
macchine che stanno arrivando e cercando parcheggio. Il viaggio mi sembra
lunghissimo, gli ultimi chilometri fuori dall’autostrada, infiniti. Sono
evidentemente stanco ma mi congratulo con me, mi dico che le motivazioni sono
più forti del fisico e permettono di superare la stanchezza. Sono felice.
Faccio gli ultimi 10km di tornanti. Nella valle il sole ma
sulle vette nuvole. Così anch’io, nel cuore l’energia del fare ma la mente è
offuscata e il corpo stanco.
Alla mia sinistra la valle e alla mia destra la montagna,
realizzo che dovrò lanciarmi nel vuoto da quella cima per attraversare quella
valle. Panico, ho paura, cerco di controllarmi. Cerco di aggrapparmi al fatto
che mi sono già lanciato, anche da più in alto, e senza un cavo attaccato alla
schiena. Mi dico che quando sarà il momento, sarò più forte della mia paura e
mi lancerò. Solo una settimana fa, ho superato la paura di camminare sui
carboni ardenti. C’era la paura ma da lei ho tratto l’energia per il coraggio
di fare il primo passo. Distolgo il pensiero, ma ogni volta che il mio sguardo
trova il vuoto al di là del guardrail, un pugno nello stomaco.
Arrivo a destinazione, passo vicino al trampolino di lancio.
Panico. Nella mia testa inizia ad affiorare tutta una serie di
considerazioni/giustificazioni per non farlo. “Sono troppo stanco”, “sta
arrivando il temporale”, “ma chi me lo fa fare?” e “se poi va male?”. Scuse per
non farlo che conosco bene, sono le stesse di quando sono arrivato a Veglio
Mosso per fare bungee jumping. Alla fine ce l’ho fatta e ho saltato dal ponte,
ed è questo che mi convince a non andare via.
Sono le 10.30 e io ho prenotato per le 13. Parcheggio e decido di
trovare un bar per un caffè, di avvisare che ci sono e poi di tornare in
macchina per dormire un po’.
Arrivo all’accoglienza del Fly Emotion. Mi registro e sto
per tornare in macchina, la mia speranza è di recuperare forze ma soprattutto
motivazione con un po’ di riposo, quando la ragazza mi avvisa che mi ha
anticipato il lancio, si è liberato un posto e in 10/15 minuti mi avrebbero
chiamato. Gestisco il panico e faccio finto di niente, addirittura la
ringrazio.
Una voce dice “Guarda, sta iniziando a piovere” e la ragazza
risponde “non preoccuparti, sono temporali, durano 10 minuti”. Ok, adesso è
veramente panico. Il mio cervello inizia a catalogare e a elencare uno per
volta tutti i possibili scenari più catastrofici: quello base, “si rompe la
fune e mi schianto”, poi “un fulmine colpisce la fune e arrostisco”, “al lancio
l’adrenalina è talmente tanta che mi viene un infarto”, e qui prendo anche
coscienza che il mio cuore non è più in forma come al lancio dal ponte, e così via
fino al “il volo va bene ma mi bagno e poi mi viene una polmonite”. Fortunatamente
non ho neanche il coraggio di scappare.
Da “sta iniziando a piovere”, in pochi minuti si passa a
“c’è una tempesta”. Sono a pezzi, ho bisogno di sedermi, trovo un divano. Inizia
il conflitto interiore: mollare o resistere. Il divano peggiora la situazione
perché inizia anche la lotta per non addormentarmi. Doveva essere una cosa
bellissima e si è trasformata in un incubo.
Passano i minuti e fuori il tempo non migliora, inizio a
darmi delle scadenze. Se non smette fra 10 minuti rinuncio. Passano i 10
minuti, ancora diluvio ma non voglio ammettere la sconfitta e altra scadenza e
così fino alle 12.30. Fuori ancora diluvio. Deciso, mi alzo, vado dalla ragazza
e dico che rinuncio. Vuole convincermi ad aspettare ancora, resisto e mi
rimborsa i soldi per la telecamera e mi dice che mi arriverà un’email con le
istruzioni per cambiare la data del volo.
Salgo in macchina, sono deluso. Arrivo in valle e c’è il sole, questo aumenta il mio senso di sconfitta, se avessi aspettato, magari sarebbe uscito veramente il sole. Adesso mi sento di essere anche un codardo che oltre ad aver rinunciato è anche scappato.
Il rientro è lunghissimo, mi fermo anche a dormire un paio
d’ore all’autogrill di Novara, ma questo non fa altro che peggiorare il senso
di confusione. Arrivo a Lurisia verso le 18 e agisco per automatismi, ho
veramente perso il controllo del mio fare.
La fine dell'avventura.
Salgo in casa, mi faccio una doccia
e mangio una mela. Mi metto a letto con l’intenzione di guardare un film.
Mi arriva un messaggio, apro gli occhi, sono le 9 di
domenica mattina.
Conclusione: Ho commesso un errore, per la mia voglia di
vivere, di fare, ho dato troppo peso alla mente e al suo obiettivo, perdendo il
cuore e l’anima. Ho commesso anche l’errore di non essere umile con me stesso,
ho chiesto al mio corpo quello che non poteva darmi.
Noi siamo un equilibrio di cuore, mente, anima e corpo. Tutti
e quattro questi elementi sono importantissimi per vivere e godere della vita,
per dare valore alla vita e al qui e ora, il tempo della nostra vita.
L’insegnamento è semplice, non conta la quantità di cose che
si fanno, conta la qualità delle cose che si fanno nella vita. Per voler far
troppo si rischio di perdere il senso e il valore di quello che si fa. La
prossima volta darò ascolto a tutti e quattro gli elementi del mio essere.
lunedì 13 giugno 2016
La bozza del mio intervento al TEDx di Alessandria...
Qui sotto la bozza di quello
che avrei dovuto dire durante il mio intervento al TEDx di Alessandria il
11/06/16. "Avrei dovuto", perché alla fine sono andato a braccio, e lo potrete
verificare guardando il video del mio intervento, che troverete su TED da fine
luglio.
“Buongiorno a tutti. La
domanda a cui cercherò di dare risposta in questo mio intervento è: “Perché le
aziende devono cambiare le loro strategie per adeguarsi a questo mondo in continuo cambiamento? Come lo devono fare?”
Partiamo da 3 evidenze:
Il mondo è sempre cambiato,
quello che è cambiato oggi è il modo in cui sta cambiando. Il cambiamento adesso è molto veloce. Si è
passati dal parlare di innovazione al parlare di evoluzione.
Prima le scoperte e le
invenzioni creavano “innovazione”, dal vecchio si passava al nuovo. Dopo le
innovazioni si viveva un periodo di consolidamento, di sfruttamene di queste.
E’ stata inventata la ruota, e questa innovazione è stata consolidata in milioni di anni. E’ stata inventata la macchina a vapore, e questa innovazione
è stata consolidata in centinaia di anni. E’ stato inventato il fax e questa
innovazione è stata consolidata in qualche decennio. I tempi di consolidamento si
sono sempre più ridotti fino ad annullarsi. Oggi le scoperte e invenzioni sono
innumerevoli ogni giorno. Oggi si scopre e inventa e non si consolida più ma si
condivide. La condivisione, grazie alla rivoluzione digitale, permette un
immediato aumento del “sapere” che spinge a un’altra scoperta e innovazione.
Non si passa più dal vecchio al nuovo ma si evolve. Un esempio sono i telefoni
cellulare, si è passati dai primi che telefonavano e basta, a quelli di oggi che permettono
di fare tantissime cose, e ogni nuovo modello evolve sempre, migliorando con
nuove funzionalità.
Si è passati da un mondo
statico a un mondo dinamico. Prima i cambiamenti erano pluri-generazionali,
perché un cambiamento si consolidasse erano necessarie più generazioni. Oggi in una
generazione ci sono pluri-cambiamenti, con un'evoluzione continua.
La seconda evidenza è che il mondo è imperfetto.
L’errore è parte del sistema. L’uomo è parte del mondo, l’uomo è imperfetto.
Rendersi conto di questo è molto importante perché ci fa capire che la perfezione
non esiste. La legge di Pareto, dice che con il 20% del tempo si ottiene
l’80% del risultato e con il restante 80% del tempo si ottiene il restante 20%
del risultato. In un mondo dove non esiste la perfezione e la velocità fa la
differenza, è meglio il fare, quindi arrivare all’80% del risultato con il 20%
del tempo, che tendere alla perfezione con il restante 80% del tempo, che tanto non ci arriveremo mai.
Il valore è l’essere diverso
dagli altri. L’essere diverso è l’elemento che ci permette di uscire dalla
massa per essere visti, scelti.
Cosa deve fare un’azienda per
adeguarsi a queste evidenze?
- Mettere il valore delle
persone al centro del proprio business, perché è l’unico modo per l’azienda di
essere motore dell’evoluzione e del cambiamento.
- Valorizzare l’errore come
momento di apprendimento.
- Individuale i propri
talenti differenzianti e svilupparli, e non cercare di standardizzarsi
eliminando solo le proprie negatività.
- I valori, i criteri di
scelta sono più importanti del metodo e del fine.
- Aprire l’azienda, questo vuol dire sia far entrare nuove competenze ed esperienze in azienda sia far uscire le proprie.
- Aprire l’azienda, questo vuol dire sia far entrare nuove competenze ed esperienze in azienda sia far uscire le proprie.
Partiamo dal mettere il
valore delle persone al centro del nostro business. Nelle scuole di economia
insegnano che i 3 fattori produttivi sono: “la terra, il capitale e la forza
lavoro”. L’imprenditore è colui che coordina questi tre fattori produttivi per
il raggiungimento del fine dell’impresa.
Anche qui troviamo una forte
staticità del concetto, risorse date e strumenti di coordinamento definiti al
raggiungimento di uno scopo. In un mondo dinamico, questo non funzione perchè
non si può pensare di replicare all’infinito un processo di coordinamento dei
tre fattori produttivi. Tutti i processi devono essere ridefiniti, per
migliorarli ed evolverli, ogni volta che si realizzano. Non devono essere
replicato ma evoluti. Solo mettendo le persone al centro dei processi, questo
può avvenire. Le aziende fatte di persone e non di procedure, fatte di persone
che condividono chiaramente gli stessi valori decisionali, persone consapevoli
del proprio valore e delle proprie responsabilità, saranno in grado di
autoregolarsi al cambiamento e anzi essere loro il motore del cambiamento.
La valorizzazione
dell’errore. Se vogliamo muoverci in un ambiente sconosciuto, lo dobbiamo fare
ad approssimazione di errori. La scienza, la tecnica e la medicina si muovono
così. Anche noi entrando in una stanza buia che non conosciamo, per accedere la
luce tentiamo di toccare il muro alla nostra destra, se sbagliamo perché non
troviamo l’interruttore, impariamo che li non c’è e proviamo vicino e
proseguiamo così fino ad aver trovato l’interruttore. Se abbiamo veramente
imparato da tutti i nostri errori, prima o poi l’interruttore lo troviamo.
La nostra infanzia è
caratterizzata da questo sistema di apprendimento, non conosciamo niente del
mondo. Per imparare a camminare dobbiamo prima provare a camminare. Così per il
parlare, il mangiare e tutto quello che per noi oggi è naturale fare. Mediamente
prima di camminare, cadiamo almeno 600 volte, cioè tentiamo un equilibrio, sbagliato
per 600 volte fino a quando non troviamo quello che ci fa camminare.
Quando utilizziamo questo
metodo di apprendimento? Quando non conosciamo le variabili e i sistemi che
regolano l’ambiente in cui dobbiamo agire. Quando non conosciamo le regole del
percorso che dobbiamo compiere per arrivare al nostro scopo.
Fino a qualche decennio fa,
forse meno, le regole dei sistemi economici erano abbastanza definite. Regole
statiche e consolidate, che con diversi anni di studio sono state anche
formalizzate e insegnate nelle università, master e anche per corrispondenza e
su DVD.
Una buona idea, studi di
mercato ben fatti, strategie ben definite e potere economico, erano le chiavi
di un probabile business di successo. Si studiavano i casi di successo e si
cerva di replicarli al meglio. La cosa funzionava e funziona ancora. Ma in
futuro, cioè domani mattina?
Quando si sa cosa si deve
fare, perché le regole sono chiare, non seguirle, sbagliare è una cosa
fortemente negativa a livello personale, aziendale e addirittura sociale e va
punita. Brutti voti a scuola, licenziamenti in azienda e gogna sociale. Soprattutto
nel mondo europeo, il fallimento di un’azienda è visto come un imprenditore
incapace, che deve essere punito e reietto dalla società, tanto da impedirgli
di poter ricominciare con una nuova azienda fino a remissione dei suoi peccati.
E se fosse stato invece solo un bravo imprenditore che ci ha provato e ha solo
sbagliato? Magari al tentativo successivo avrebbe scoperto la fusione a freddo.
Ovviamente parliamo solo di gentiluomini.
Quando non si sa cose si deve
“fare”, anzi dove “fare” in modo diverso è il valore, l’unico modo di agire e
tentare e quindi anche sbagliare. L’errore, la sua analisi e l’apprendimento da
questa è l’elemento base di un business in un mondo in evoluzione come quello di
oggi.
Le aziende devono creare un
clima diffuso di accettazione dell’errore, di evidenza e condivisione dello
stesso a livello aziendale e di divulgazione dell’apprendimento che ne è
scaturito.
Se continuiamo a dare
all’errore un valori negativi, ci sarà sempre il terrore di sbagliare per la
paura di essere puniti. E cosa succederà? Nessuno farà niente, così sicuro non
si commetteranno errori, l’azienda rimarrà statica in uno scenario dinamico.
L’azienda sarà fuori dal mercato. L’azienda chiuderà.
La crescita del talento
differenziante della nostra azienda. Il mondo non è perfetto, tanto meno noi e
le nostre aziende ma c’è sicuramente qualche cosa della nostra azienda che
qualcuno, anche solo noi imprenditori, consideriamo un talento. E’ li che
dobbiamo sviluppare la nostra azienda. Paradigma semplice nel mondo dinamico ma
non accettato in quello statico.
Come già detto nelle scuole economiche
di tutti i livelli, vengono insegnate le regole formali di base per costituire
un azienda. Nei libri sono formalizzati i modelli delle varie aziende perfette,
tipi di gerarchie, diffusione dei poteri, sono tanti, almeno una 50antina. Dalle
società uni-personali, fino alle multinazionali più grandi al mondo. Apri
un’attività, decidi il tuo modello e da li parti, puoi anche decidere di
cambiare modello, se cambi la dimensione dell’azienda, ma devi rimanere sempre
in quei 50 modelli, altrimenti ti mancano le regole per funzionare bene.
Visto che siamo tutti bravi
imprenditori, conosciamo i modelli e cerchiamo di adattare quelli dei libri
alle nostre aziende e per farlo cerchiamo quello che in azienda non corrisponde
e iniziamo tutta una serie di forzature. Ancora di più se abbiamo chiamato un
consulente ad aiutarci. Passiamo anni a inserire sistemi di controllo, modelli
decisionali, procedure standard. Energie, soldi e soprattutto tempo per
strutturare in modo formale la nostra azienda. E quando ci siamo riusciti? Tutto
funziona come un orologio, avete formalizzato le procedure e formalizzato il
sistema di controllo delle procedure. Siete finalmente un’azienda da manuale.
Un’azienda come tutte le altre del manuale. Ma come, come tutte le altre? Ma
noi vogliamo essere diversi, vogliamo che i nostri clienti ci riconoscano come diversi
dai nostri concorrenti. Bene forse era meglio concentrarsi sull’essere diversi,
sviluppando il talento differenziante dell’azienda e non concentrandosi sul
volerla standardizzare.
Il formatore e scrittore
Alessandro Chelo, scrive nei suoi libri, molte delle cose che vi dico arrivano
da li, che tutte le aziende, come tutte le persone hanno delle positività e
delle negatività. Le negatività sono di tue tipo, strutturali e tecniche.
Quelle tecniche, come il non saper l’inglese, non avere una contabilità adeguata
alla crescita, non avere un carrello elevatore per scaricare i camion, si
possono e anzi si devono risolvere. Facendo corsi di inglese, cambiando
software gestionale e comprando un carrello elevatore. Invece le negatività
strutturali, sono basso, ho la sede in una valle lontana dalla città, siamo in
4 e la mia prima concorrente è una multinazionale, sono negatività strutturali che
non si possono risolvere, è quindi inutile continuare a concertarci su quelle, bisogna accettarle.
Se vogliamo essere
riconosciti per il nostro talento differenziante, cerchiamolo, sviluppiamolo, alimentiamolo
e in parallelo miglioriamo le nostre negatività tecniche e accettiamo quelle
strutturali.
La
chiara definizione e condivisione dei valori, dei criteri di scelta aziendali.
Noi possiamo agire solo sul nostro quotidiano, possiamo fissarci degli
obiettivi, dobbiamo fissarci degli obiettivi, ma l’unica cosa su cui possiamo
agire sono le decisioni, le azioni di qui e ora. E’ fondamentale sapere dove
voler andare, ma sugli obiettivi non abbiamo nessun controllo diretto. Sono gli
elementi che guidano il mondo dinamico che li influenzano, obiettivi veri e
raggiungibili oggi, domani potrebbero non esisterlo più. Nelle scuole di
economica, dove regna ancora l’idea di un mondo statico, dove per decenni non
varia nulla, insegnano che la cosa più importante è l’obiettivo. Fissa bene il
tuo obiettivo e fai di tutto per raggiungerlo, lui è li che ti aspetta. Già il
giorno dopo la partenza, si è sicuramene sposta, dopo una settimana è sparito.
Dobbiamo cambiare le
priorità, prima definiamo il nostro metodo di azione. Definiamo quali sono i
valori che guideranno le nostre scelte quotidiane, le nostre azioni, da quelle
più banali a quelle fondamentali per l’impresa. L’obiettivo deve essere
dinamico come il mondo in cui si realizzerà e che lo regola. Se seguiamo il
nostro metodo, arriveremo al nostro obiettivo, dovunque lui si troverà.
Ultimo elemento ma importantissimo: l'apertura. Bisogna che le azienda abbiano il coraggio di condividere il proprio sapere, superando la paura di perdere potere, per permettere a tutto il nuovo di entrare in azienda per farla evolvere. Per gli "esperti" questa è la cosa più difficile perché non sono disposti a condividere il proprio sapere perché perderebbero potere e dall'altra parte, essendo esperti, credono di sapere già tutto e non vogliono far fatica per imparare cose nuove.
Le aziende devono soprattutto aprirsi ai giovani, che hanno la mente ancora aperta e voglia di imparare.
Ultimo elemento ma importantissimo: l'apertura. Bisogna che le azienda abbiano il coraggio di condividere il proprio sapere, superando la paura di perdere potere, per permettere a tutto il nuovo di entrare in azienda per farla evolvere. Per gli "esperti" questa è la cosa più difficile perché non sono disposti a condividere il proprio sapere perché perderebbero potere e dall'altra parte, essendo esperti, credono di sapere già tutto e non vogliono far fatica per imparare cose nuove.
Le aziende devono soprattutto aprirsi ai giovani, che hanno la mente ancora aperta e voglia di imparare.
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