martedì 28 giugno 2016

Scottava, ma non ero solo.

Sono felice. Sto facendo una delle cose che mi rende più felice, comunicare, scrivere. Il post di domenica è stato letto da tantissime persone e questo mi fa ancora più felice. Io scrivo per essere letto, scrivo perché voglio comunicare. Questo blog, non è il mio diario personale, è il mio urlare al mondo quello che penso e che provo. Mi piacerebbe che fosse più interattivo, mi piacerebbe avere più commenti, creare una vera condivisione. Credo sia importantissimo per la mia crescita la possibilità di confrontarmi con le diverse visione del mondo, attraverso la condivisione.
Sono un animale sociale, ho bisogno degli altri per realizzare me stesso.

Due sabati fa, ho camminato sui carboni ardenti. Tecnicamente ho fatto una Pirobazia. E’ stato bello e intenso, ma non per le 4 volte che ho attraverso il tappeto di carboni, ma perché l’ho condiviso con un gruppo di persone speciali. Non ci conoscevamo, non c’erano ruoli e quindi pre-giudizi, eravamo tutti simili nelle nostre diversità, soprattutto eravamo tutti uguali davanti al fuoco, davanti alla paura del fuoco. Questo è stato il vero valore di quell’esperienza: condividere, con l’umiltà dei tutti simili, una forte prova di coraggio. Per essere simili, non bisogna essere uguali in tutto, basta un elemento di unione, in quel caso il fuoco. Quando si è simili, quando ci concentriamo sulle cose che ci uniscono, si diventa parte del gruppo, e la forza del gruppo diventa la nostra forza per superare i nostri limiti. Per superare la paura del fuoco e fare il primo passo.
Di quelle ore non ricordo il calore del fuoco, e vi garantisco che scottava, ricordo il calore del gruppo. Il calore delle persone speciali di quel gruppo.

Parlo spesso dei nostri limiti, limiti che mettiamo noi su di noi. Limiti sulle nostre capacità. “Non posso fare questo”, “non sono capace a fare quest’altro”, “per guarire ho bisogni di quella medicina”, “l’inglese non lo imparerò mai”, “ho paura dei ragni”. Il nostro quotidiano è la gestione dei nostri limiti per sopravvivere, quando dovrebbe essere, superare i nostri limiti per trovare tutta la forza delle nostre capacità, per fare quello che ci rende felici. Superare i nostri limiti per vivere a pieno tutto il bello che ci offre il mondo.

Con l’esperienza della Pirobazia, ho capito che oltre ai limiti che poniamo su noi stessi, dobbiamo superare i limiti che ci poniamo nei confronti degli altri. I rapporti sono regolati da dei limiti, molti legati a quelle che noi consideriamo diversità. Pensate solo al rapporto uomo-donna, quanti limiti ci sono che impediscono la possibilità di trarre forza da questo rapporto. O si è una coppia o tutto è più difficile. Difficile pensare serenamente a una semplice amicizia uomo-donna, senza ipotizzare che comunque potrebbe nascere una storia. Cosa che non accade mai se il rapporto è uomo-uomo. Ci sono i limiti legati ai ruoli, i limiti di rapporto fra dirigente e sottoposto, fra dottore e malato, fra insegnate e alunno. Dove c’è un ruolo c’è almeno un limite legato alla diversità. Ci sono i limiti legati all’intimità. Sappiamo che certe domande non si possono fare perché “sono troppo intime”, limitando la possibilità di condividere determinate cose e dare valore al rapporto. Tantissimi i limiti legati al giudizio. Non voglio avere rapporti con quella persona perché ha una cattiva fama, un cattivo giudizio sociale, magari solo per il diverso colore della pelle o per il diverso accento o per il diverso Dio a cui crede.
Superare questi limiti, ci permette di creare un rapporto più intenso con gli altri, ci permette di diventare un gruppo unito e l’energie del gruppo rendono ancora più forti e intense le nostre. Da soli si può fare tanto, ma in gruppo si può fare anche l’impossibile, come camminare sui carboni ardenti.


domenica 26 giugno 2016

Felice, insoddisfatto o solo stanco? Comunque, qualche cosa ho imparato.

Domenica mattina, fa caldissimo ma la brezza che entra dalla finestra aperta è un bel sollievo. Di fondo il silenzio, interrotto solo dai rumori del bosco e dal foglio appeso alla parete che sventola. Qualche uccellino mi da il segno di non essere l’unico essere vivente nel mio qui e ora. C’è anche una mosca che mi ronza intorno, segno dell’evidenza che il mondo non è perfetto.

Vorrei raccontare la mia esperienza di ieri, per tutti ma soprattutto per Xander e Kiki ma oggi non so da dove iniziare. Non so dove cercare, se cercare nel cuore, nella testa o nell’anima. Del resto l’esperienza è un momento di vita, elaborato dalla testa, valorizzato dal cuore e assorbito dall’anima. Senza i tre elementi non è vita. Dimenticavo, c’è anche il corpo, strumento necessario e di grande valore, e nella mia esperienza di ieri di grande impatto.

Sono le 20 di venerdì sera, sono in giro per Cuneo e fa caldo, e per me il caldo è energia del fare. La stessa fisica quantistica dice che il calore è l’evidenza del movimento e quindi della vita e del passare del tempo. Vi consiglio di leggere “Sette brevi lezioni di fisica” di Carlo Rovelli per approfondire l’argomento.
E’ stata una giornata particolare. Un viaggio di 500km in mattinata, spero per un accordo di grande valore, e poi le ultime ore del pomeriggio in un’atmosfera strana, quella dell’intensità che da senso al tempo.
I bambini e Yara sono al mare, so che sono in vacanza e in un posto che a loro piace tantissimo. Non ho rimorsi di non essere con loro, siamo stati insieme ieri, e quindi mi sento libero. Mi sento di avere la vita nelle mie mani. Casualmente ho in macchina lo zaino con il cambio per 1 giorno, che allarga i miei orizzonti di 24 ore. Ho anche le medicine, il mio coltellino svizzero e il pieno nella macchina. E’ molto più forte la voglia di fare qualche cosa che quella di tornare nell’appartamento delle terme, da solo.

Decido, prendo l’autostrada e parto all’avventura. Ho la certezza di voler fare qualche cosa da ricordare, ho qualche idea sulla meta ma nessun programma. Sono libero.

Si parte all'avventura.

Con Paolo, avevamo organizzato di andare a vedere la passerella ideata e realizzata dall’artista Christo sul lago di Iseo, proprio per l’alba di venerdì mattina, sia per lo spettacolo sia per evitare il caldo e la grande folla. Era tutto organizzato ma all’ultimo momento l’hanno chiusa per manutenzioni straordinarie, facendo saltare i nostri piani. Andarci da solo mi dispiace, è tradire l’accordo con Paolo. So però che non avrò altre occasioni, settimana prossima avrò tutte le mattine impegnate dal ciclo di terapia in ospedale e la passerella chiude definitivamente domenica prossima.

Deciso, vado a Sulzano a vedere la passerella di Christo.
Sono giorni che scrivono sui giornali di tutti i disagi legati al grande afflusso, parlano di code, blocchi e tempi lunghissimi. Io non voglio fare code, soprattutto al sole, non posso prenderlo a causa della GVH, conseguenza del trapianto di midollo. Non ho vogli e fisico. L’alba non potrò vederla, perché riaprirà solo alle 6 dopo la manutenzione nella notte, ma voglio essere tra i primi a salirci per godermi la passeggiata al fresco e senza folla.
Non ho idea di come è organizzata la cosa, so solo che non ci si può avvicinare in macchina, in moto e nemmeno in bicicletta. Si può arrivare a Sulzano solo coi mezzi pubblici, le navette che partono dai vari parcheggi o a piedi. Mio obiettivo è fare la passerella, il prima possibile per evitare il sole e la calca. Al come ci penserò durante il viaggio, ho 330 km per pensarci.

E poi cosa faccio? Ho un giorno d’avventura tutto mio e devo riempirlo.
Scorro mentalmente la mia lista dei desideri e subito trovo il volo d’angelo. L’attraversata di una valle appesi a un cavo con una carrucola. Mi ero già informato e lo fanno vicino a Sondrio. Cuneo è lontano da Sondrio, il lago di Iseo è lontano da Cuneo, quindi Sondrio e il lago di Iseo sono vicino. Deduzione non proprio corretta ma decido che alla prima sosta in Autogrill cercherò su internet. Ho voglia di fare, ho voglia di fare per poi poter anche raccontare.

Riflessione: È giusto voler fare per poi poter anche raccontare? Non si dovrebbe vivere per noi e basta?
So e ho scritto e detto tantissime volte che la vita è la nostra e non ci devono guidare i giudizi degli altri. Il nostro corpo, il nostro cuore, la nostra testa e la nostra anima sono i giudici più importanti della nostra vita. Allora perché io voglio fare anche per poter raccontare, e in qualche modo avere un giudizio anche degli altri?
Dobbiamo essere noi al centro della nostra vita, il nostro giudizio su noi stessi è più importante di quello degli altri ma questo non vuol dire isolarsi, siamo comunque animali sociali, animali che vivono in branco, in comunità, e quindi è anche nostra necessità e valore vivere questa comunità, raccontandoci. Essere parte di una comunità è un valore importantissimo, ci ha permesso di sopravvivere per milioni di anni alle ostilità del mondo, e oggi ci permette di condividere le esperienze nostre e degli altri, rendendo più ricca la comunità e noi stessi.

Mi fermo a mangiare, telefonino alla mano vedo che posso prenotare il volo per domani. Nel mio totale ottimismo prenoto per le 11, non sapendo assolutamente quanto tempo ci vuole ad andare a Sondrio da Iseo. Fortunatamente la prenotazione non va a buon fine, rifletto e vado a vedere su google map quanto sono distanti Sondrio e Iseo. Non sono vicine quanto pensassi ma a occhi, neanche così lontane. Rifaccio la prenotazione per le 13, che costa anche meno.

Arrivo a Iseo, il mio passato da esploratore dell’8° Reggimento di cavalleria “Lanceri di Montebello” mi aiuta a capire qual è il parcheggio più vicino per poi poter andare a Sulzano a piedi, fortunatamente per la mia tranquillità, è anche quello che si trova fra la stazione dei carabinieri e quella della polizia. Le navette inizieranno a circolare solo alle 6, quando aprirà anche la passerella, ma io voglio arrivare prima e non c’è altra alternativa che andarci a piedi. Sono circa 5 km. Non ci penso più di tanto e decido di dormire in macchina, aumentando ancora di più l’effetto avventura.
Nonostante la passerella avesse chiuso alle 22, c’è ancora gente che sta arrivando a piedi da Sulzano. Questo mi crea qualche dubbio sul fatto che non sia così vicino come penso.
Sono le 00.15 e ipotizzando un’ora a piedi per arrivare alla passerella, metto la sveglia alle 4.15. Sono un può stressato dai tempi, la paura è di infilarmi nel casino della calca facendo saltare il mio piano di andare a Sondrio.
Tutte le macchine parcheggiate vicino a me, hanno dentro persone che dormono o si stanno preparando per dormire. Stendo il sedile del passeggero, mi tolgo le scarpe e mi addormento.

La mia camera da letto per questa notte.

Alle 4 mi sveglio, mi scappa la pipi. Situazione non prevista. Nel totale rincoglionimento ipotizzo le varie soluzioni. Farla vicino alla macchina no, tutta la zona del parcheggio è illuminata dai lampioni della strada e vedo che ci sono già delle persone che stanno iniziando ad andare a piedi a Sulzano. Ho alcune bottiglie vuote in macchina, provo alcune posizioni ma c’è solo il rischio di fare un gran casino. Anche se era una buona soluzione, riempivo la bottiglia e poi uscivo e la svuotavo vicino a un albero. Rimane la soluzione di allontanarmi in cerca di un posto non illuminato. Scendo, fa caldo. C’è una leggera brezza ma fa caldo. 20 metri e supero l’imprevisto. Sono le 4.15, sono sveglio e c’è già diversa gente in movimento. Rinuncio a cercare di rimettermi a dormire ma soprattutto inizia lo spirito di competizione per arrivare fra i primi. Preparo lo zaino il più leggero possibile, pendo la medicina per la tiroide, cambio le scarpe e chiudo la macchina. Si parte. E’ ancora buio.
E’ più lungo di quanto pensassi, arrivo verso le 5.15 e ci sono già 300 persone in coda. La camminata è stata bella, fatta con un paso deciso per cercare di superare quelli davanti e per non farsi superare da quelli dietro. Pochissimo spirito di gruppo, tantissimo spirito di competizione.
Vedendo i bivacchi, capisco che molti hanno passato lì la notte. Sono quasi tutti ragazzi del posto, l’accento è abbastanza caratteristico, molti con un buon tasso di alcol in corpo che si capisce sia da come sbiascicano le parole sia e soprattutto dalle lattine di birra vuote.
Sono stanco, fisicamente sento le poche ore di sonno ma soprattutto i 5 km a piedi a buon passo, e non sono di buon umore. Non ho ancora fatto colazione. Pessime premesse per affrontare la massa calcante di persone in coda. Accetto che il mondo è imperfetto e che nonostante i mille cartelli di divieto, ci sono persone che fumano, alcune addirittura scavalcano le transenne per saltare un po’ di coda.
Alle 5.45 inizia a muoversi la coda, avanziamo a tratti e alle 6.15 sono finalmente sulla passerella.

I 300 che mi aspettavano









Lo spettacolo e le sensazioni sono bellissime. Rimane comunque un velo di stress per la stanchezza, la paura di raffreddarmi, sono sudato e tira vento, e per voler arrivare a Sondrio in tempo. Non sono molto lucido, sono focalizzato nel fare i circa 10km fra andata e ritorno il più veloce possibile. L’obietto è il fare più che il godere.

Riflessione: L’obiettivo è il fare più che il godere. Qui ho sicuramente sbagliato, mi sono lasciato prendere dallo stress di non riuscire a fare quello che mi ero programmato, di non riuscire ad andare a Sondrio per il volo d’angelo. Non era concentrato su quello che stavo vivendo ma sui vari scenari futuri. Non stavo sicuramente vivendo. I miei sensi erano settati sull’allerta, continuavo a mettermi e togliermi la felpa per paura di sudare troppo ma anche di non prendere troppo vento. Le sensazioni analizzate non erano quelle del bello ma quelle del pericolo. Ero sicuramente più concentrato nel raggiungere la meta che nel godere del viaggio.


7.25, fra i primi finisco il giro. All’ingresso c’è la calca che temevo, fortunatamente non è la mia calca. Mangio una brioche, prendo una bottiglia d’acqua e finisco la colazione prendendo le mie pastiglie. Parte della mia stanchezza e la poca lucidità sono causate dalla disidratazione, non bevo da ieri sera e ho camminato per 14 km. 

Quelli che stavano iniziando quando ho finito io e il temporale sullo sfondo.

Le mie pillole del mattino.

Non voglio ma soprattutto non ce la faccio a tornare alla macchina a piedi. Fortunatamente tutto è tornato operativo, aspetto qualche minuto e arriva l’autobus di linea. Alle 8 salgo in macchina, sono soddisfatto e felice. All’orizzonte un temporale (che qualche ora dopo costringerà il prefetto di Brescia a sgombrare e chiudere la passerella). Metto sul navigatore Fly Emotion, 144 km e 2 ore e 19 minuti.

Parto. Qualche difficoltà per uscire da Iseo per le tante macchine che stanno arrivando e cercando parcheggio. Il viaggio mi sembra lunghissimo, gli ultimi chilometri fuori dall’autostrada, infiniti. Sono evidentemente stanco ma mi congratulo con me, mi dico che le motivazioni sono più forti del fisico e permettono di superare la stanchezza. Sono felice.

Faccio gli ultimi 10km di tornanti. Nella valle il sole ma sulle vette nuvole. Così anch’io, nel cuore l’energia del fare ma la mente è offuscata e il corpo stanco.
Alla mia sinistra la valle e alla mia destra la montagna, realizzo che dovrò lanciarmi nel vuoto da quella cima per attraversare quella valle. Panico, ho paura, cerco di controllarmi. Cerco di aggrapparmi al fatto che mi sono già lanciato, anche da più in alto, e senza un cavo attaccato alla schiena. Mi dico che quando sarà il momento, sarò più forte della mia paura e mi lancerò. Solo una settimana fa, ho superato la paura di camminare sui carboni ardenti. C’era la paura ma da lei ho tratto l’energia per il coraggio di fare il primo passo. Distolgo il pensiero, ma ogni volta che il mio sguardo trova il vuoto al di là del guardrail, un pugno nello stomaco.

Arrivo a destinazione, passo vicino al trampolino di lancio. Panico. Nella mia testa inizia ad affiorare tutta una serie di considerazioni/giustificazioni per non farlo. “Sono troppo stanco”, “sta arrivando il temporale”, “ma chi me lo fa fare?” e “se poi va male?”. Scuse per non farlo che conosco bene, sono le stesse di quando sono arrivato a Veglio Mosso per fare bungee jumping. Alla fine ce l’ho fatta e ho saltato dal ponte, ed è questo che mi convince a non andare via.

Sono le 10.30 e io ho prenotato per le 13. Parcheggio e decido di trovare un bar per un caffè, di avvisare che ci sono e poi di tornare in macchina per dormire un po’.

Arrivo all’accoglienza del Fly Emotion. Mi registro e sto per tornare in macchina, la mia speranza è di recuperare forze ma soprattutto motivazione con un po’ di riposo, quando la ragazza mi avvisa che mi ha anticipato il lancio, si è liberato un posto e in 10/15 minuti mi avrebbero chiamato. Gestisco il panico e faccio finto di niente, addirittura la ringrazio.
Una voce dice “Guarda, sta iniziando a piovere” e la ragazza risponde “non preoccuparti, sono temporali, durano 10 minuti”. Ok, adesso è veramente panico. Il mio cervello inizia a catalogare e a elencare uno per volta tutti i possibili scenari più catastrofici: quello base, “si rompe la fune e mi schianto”, poi “un fulmine colpisce la fune e arrostisco”, “al lancio l’adrenalina è talmente tanta che mi viene un infarto”, e qui prendo anche coscienza che il mio cuore non è più in forma come al lancio dal ponte, e così via fino al “il volo va bene ma mi bagno e poi mi viene una polmonite”. Fortunatamente non ho neanche il coraggio di scappare.

Da “sta iniziando a piovere”, in pochi minuti si passa a “c’è una tempesta”. Sono a pezzi, ho bisogno di sedermi, trovo un divano. Inizia il conflitto interiore: mollare o resistere. Il divano peggiora la situazione perché inizia anche la lotta per non addormentarmi. Doveva essere una cosa bellissima e si è trasformata in un incubo.





Passano i minuti e fuori il tempo non migliora, inizio a darmi delle scadenze. Se non smette fra 10 minuti rinuncio. Passano i 10 minuti, ancora diluvio ma non voglio ammettere la sconfitta e altra scadenza e così fino alle 12.30. Fuori ancora diluvio. Deciso, mi alzo, vado dalla ragazza e dico che rinuncio. Vuole convincermi ad aspettare ancora, resisto e mi rimborsa i soldi per la telecamera e mi dice che mi arriverà un’email con le istruzioni per cambiare la data del volo.

Salgo in macchina, sono deluso. Arrivo in valle e c’è il sole, questo aumenta il mio senso di sconfitta, se avessi aspettato, magari sarebbe uscito veramente il sole. Adesso mi sento di essere anche un codardo che oltre ad aver rinunciato è anche scappato.

Il rientro è lunghissimo, mi fermo anche a dormire un paio d’ore all’autogrill di Novara, ma questo non fa altro che peggiorare il senso di confusione. Arrivo a Lurisia verso le 18 e agisco per automatismi, ho veramente perso il controllo del mio fare. 

La fine dell'avventura.

Salgo in casa, mi faccio una doccia e mangio una mela. Mi metto a letto con l’intenzione di guardare un film.
Mi arriva un messaggio, apro gli occhi, sono le 9 di domenica mattina.

Conclusione: Ho commesso un errore, per la mia voglia di vivere, di fare, ho dato troppo peso alla mente e al suo obiettivo, perdendo il cuore e l’anima. Ho commesso anche l’errore di non essere umile con me stesso, ho chiesto al mio corpo quello che non poteva darmi.
Noi siamo un equilibrio di cuore, mente, anima e corpo. Tutti e quattro questi elementi sono importantissimi per vivere e godere della vita, per dare valore alla vita e al qui e ora, il tempo della nostra vita.
L’insegnamento è semplice, non conta la quantità di cose che si fanno, conta la qualità delle cose che si fanno nella vita. Per voler far troppo si rischio di perdere il senso e il valore di quello che si fa. La prossima volta darò ascolto a tutti e quattro gli elementi del mio essere.

lunedì 13 giugno 2016

La bozza del mio intervento al TEDx di Alessandria...

Qui sotto la bozza di quello che avrei dovuto dire durante il mio intervento al TEDx di Alessandria il 11/06/16. "Avrei dovuto", perché alla fine sono andato a braccio, e lo potrete verificare guardando il video del mio intervento, che troverete su TED da fine luglio.

“Buongiorno a tutti. La domanda a cui cercherò di dare risposta in questo mio intervento è: “Perché le aziende devono cambiare le loro strategie per adeguarsi a questo mondo in continuo cambiamento? Come lo devono fare?”

Partiamo da 3 evidenze:
Il mondo è sempre cambiato, quello che è cambiato oggi è il modo in cui sta cambiando. Il cambiamento adesso è molto veloce. Si è passati dal parlare di innovazione al parlare di evoluzione.
Prima le scoperte e le invenzioni creavano “innovazione”, dal vecchio si passava al nuovo. Dopo le innovazioni si viveva un periodo di consolidamento, di sfruttamene di queste. E’ stata inventata la ruota, e questa innovazione è stata consolidata in milioni di anni. E’ stata inventata la macchina a vapore, e questa innovazione è stata consolidata in centinaia di anni. E’ stato inventato il fax e questa innovazione è stata consolidata in qualche decennio. I tempi di consolidamento si sono sempre più ridotti fino ad annullarsi. Oggi le scoperte e invenzioni sono innumerevoli ogni giorno. Oggi si scopre e inventa e non si consolida più ma si condivide. La condivisione, grazie alla rivoluzione digitale, permette un immediato aumento del “sapere” che spinge a un’altra scoperta e innovazione. Non si passa più dal vecchio al nuovo ma si evolve. Un esempio sono i telefoni cellulare, si è passati dai primi che telefonavano e basta, a quelli di oggi che permettono di fare tantissime cose, e ogni nuovo modello evolve sempre, migliorando con nuove funzionalità.
Si è passati da un mondo statico a un mondo dinamico. Prima i cambiamenti erano pluri-generazionali, perché un cambiamento si consolidasse erano necessarie più generazioni. Oggi in una generazione ci sono pluri-cambiamenti, con un'evoluzione continua.

La seconda evidenza è che il mondo è imperfetto. L’errore è parte del sistema. L’uomo è parte del mondo, l’uomo è imperfetto. Rendersi conto di questo è molto importante perché ci fa capire che la perfezione non esiste. La legge di Pareto, dice che con il 20% del tempo si ottiene l’80% del risultato e con il restante 80% del tempo si ottiene il restante 20% del risultato. In un mondo dove non esiste la perfezione e la velocità fa la differenza, è meglio il fare, quindi arrivare all’80% del risultato con il 20% del tempo, che tendere alla perfezione con il restante 80% del tempo, che tanto non ci arriveremo mai.

Il valore è l’essere diverso dagli altri. L’essere diverso è l’elemento che ci permette di uscire dalla massa per essere visti, scelti.

Cosa deve fare un’azienda per adeguarsi a queste evidenze?
- Mettere il valore delle persone al centro del proprio business, perché è l’unico modo per l’azienda di essere motore dell’evoluzione e del cambiamento.
- Valorizzare l’errore come momento di apprendimento.
- Individuale i propri talenti differenzianti e svilupparli, e non cercare di standardizzarsi eliminando solo le proprie negatività.
- I valori, i criteri di scelta sono più importanti del metodo e del fine.
- Aprire l’azienda, questo vuol dire sia far entrare nuove competenze ed esperienze in azienda sia far uscire le proprie.

Partiamo dal mettere il valore delle persone al centro del nostro business. Nelle scuole di economia insegnano che i 3 fattori produttivi sono: “la terra, il capitale e la forza lavoro”. L’imprenditore è colui che coordina questi tre fattori produttivi per il raggiungimento del fine dell’impresa.
Anche qui troviamo una forte staticità del concetto, risorse date e strumenti di coordinamento definiti al raggiungimento di uno scopo. In un mondo dinamico, questo non funzione perchè non si può pensare di replicare all’infinito un processo di coordinamento dei tre fattori produttivi. Tutti i processi devono essere ridefiniti, per migliorarli ed evolverli, ogni volta che si realizzano. Non devono essere replicato ma evoluti. Solo mettendo le persone al centro dei processi, questo può avvenire. Le aziende fatte di persone e non di procedure, fatte di persone che condividono chiaramente gli stessi valori decisionali, persone consapevoli del proprio valore e delle proprie responsabilità, saranno in grado di autoregolarsi al cambiamento e anzi essere loro il motore del cambiamento.

La valorizzazione dell’errore. Se vogliamo muoverci in un ambiente sconosciuto, lo dobbiamo fare ad approssimazione di errori. La scienza, la tecnica e la medicina si muovono così. Anche noi entrando in una stanza buia che non conosciamo, per accedere la luce tentiamo di toccare il muro alla nostra destra, se sbagliamo perché non troviamo l’interruttore, impariamo che li non c’è e proviamo vicino e proseguiamo così fino ad aver trovato l’interruttore. Se abbiamo veramente imparato da tutti i nostri errori, prima o poi l’interruttore lo troviamo.
La nostra infanzia è caratterizzata da questo sistema di apprendimento, non conosciamo niente del mondo. Per imparare a camminare dobbiamo prima provare a camminare. Così per il parlare, il mangiare e tutto quello che per noi oggi è naturale fare. Mediamente prima di camminare, cadiamo almeno 600 volte, cioè tentiamo un equilibrio, sbagliato per 600 volte fino a quando non troviamo quello che ci fa camminare.
Quando utilizziamo questo metodo di apprendimento? Quando non conosciamo le variabili e i sistemi che regolano l’ambiente in cui dobbiamo agire. Quando non conosciamo le regole del percorso che dobbiamo compiere per arrivare al nostro scopo.
Fino a qualche decennio fa, forse meno, le regole dei sistemi economici erano abbastanza definite. Regole statiche e consolidate, che con diversi anni di studio sono state anche formalizzate e insegnate nelle università, master e anche per corrispondenza e su DVD.
Una buona idea, studi di mercato ben fatti, strategie ben definite e potere economico, erano le chiavi di un probabile business di successo. Si studiavano i casi di successo e si cerva di replicarli al meglio. La cosa funzionava e funziona ancora. Ma in futuro, cioè domani mattina?
Quando si sa cosa si deve fare, perché le regole sono chiare, non seguirle, sbagliare è una cosa fortemente negativa a livello personale, aziendale e addirittura sociale e va punita. Brutti voti a scuola, licenziamenti in azienda e gogna sociale. Soprattutto nel mondo europeo, il fallimento di un’azienda è visto come un imprenditore incapace, che deve essere punito e reietto dalla società, tanto da impedirgli di poter ricominciare con una nuova azienda fino a remissione dei suoi peccati. E se fosse stato invece solo un bravo imprenditore che ci ha provato e ha solo sbagliato? Magari al tentativo successivo avrebbe scoperto la fusione a freddo. Ovviamente parliamo solo di gentiluomini.
Quando non si sa cose si deve “fare”, anzi dove “fare” in modo diverso è il valore, l’unico modo di agire e tentare e quindi anche sbagliare. L’errore, la sua analisi e l’apprendimento da questa è l’elemento base di un business in un mondo in evoluzione come quello di oggi.
Le aziende devono creare un clima diffuso di accettazione dell’errore, di evidenza e condivisione dello stesso a livello aziendale e di divulgazione dell’apprendimento che ne è scaturito.
Se continuiamo a dare all’errore un valori negativi, ci sarà sempre il terrore di sbagliare per la paura di essere puniti. E cosa succederà? Nessuno farà niente, così sicuro non si commetteranno errori, l’azienda rimarrà statica in uno scenario dinamico. L’azienda sarà fuori dal mercato. L’azienda chiuderà.

La crescita del talento differenziante della nostra azienda. Il mondo non è perfetto, tanto meno noi e le nostre aziende ma c’è sicuramente qualche cosa della nostra azienda che qualcuno, anche solo noi imprenditori, consideriamo un talento. E’ li che dobbiamo sviluppare la nostra azienda. Paradigma semplice nel mondo dinamico ma non accettato in quello statico.
Come già detto nelle scuole economiche di tutti i livelli, vengono insegnate le regole formali di base per costituire un azienda. Nei libri sono formalizzati i modelli delle varie aziende perfette, tipi di gerarchie, diffusione dei poteri, sono tanti, almeno una 50antina. Dalle società uni-personali, fino alle multinazionali più grandi al mondo. Apri un’attività, decidi il tuo modello e da li parti, puoi anche decidere di cambiare modello, se cambi la dimensione dell’azienda, ma devi rimanere sempre in quei 50 modelli, altrimenti ti mancano le regole per funzionare bene.
Visto che siamo tutti bravi imprenditori, conosciamo i modelli e cerchiamo di adattare quelli dei libri alle nostre aziende e per farlo cerchiamo quello che in azienda non corrisponde e iniziamo tutta una serie di forzature. Ancora di più se abbiamo chiamato un consulente ad aiutarci. Passiamo anni a inserire sistemi di controllo, modelli decisionali, procedure standard. Energie, soldi e soprattutto tempo per strutturare in modo formale la nostra azienda. E quando ci siamo riusciti? Tutto funziona come un orologio, avete formalizzato le procedure e formalizzato il sistema di controllo delle procedure. Siete finalmente un’azienda da manuale. Un’azienda come tutte le altre del manuale. Ma come, come tutte le altre? Ma noi vogliamo essere diversi, vogliamo che i nostri clienti ci riconoscano come diversi dai nostri concorrenti. Bene forse era meglio concentrarsi sull’essere diversi, sviluppando il talento differenziante dell’azienda e non concentrandosi sul volerla standardizzare.
Il formatore e scrittore Alessandro Chelo, scrive nei suoi libri, molte delle cose che vi dico arrivano da li, che tutte le aziende, come tutte le persone hanno delle positività e delle negatività. Le negatività sono di tue tipo, strutturali e tecniche. Quelle tecniche, come il non saper l’inglese, non avere una contabilità adeguata alla crescita, non avere un carrello elevatore per scaricare i camion, si possono e anzi si devono risolvere. Facendo corsi di inglese, cambiando software gestionale e comprando un carrello elevatore. Invece le negatività strutturali, sono basso, ho la sede in una valle lontana dalla città, siamo in 4 e la mia prima concorrente è una multinazionale, sono negatività strutturali che non si possono risolvere, è quindi inutile continuare a concertarci su quelle, bisogna accettarle.
Se vogliamo essere riconosciti per il nostro talento differenziante, cerchiamolo, sviluppiamolo, alimentiamolo e in parallelo miglioriamo le nostre negatività tecniche e accettiamo quelle strutturali.

La chiara definizione e condivisione dei valori, dei criteri di scelta aziendali. Noi possiamo agire solo sul nostro quotidiano, possiamo fissarci degli obiettivi, dobbiamo fissarci degli obiettivi, ma l’unica cosa su cui possiamo agire sono le decisioni, le azioni di qui e ora. E’ fondamentale sapere dove voler andare, ma sugli obiettivi non abbiamo nessun controllo diretto. Sono gli elementi che guidano il mondo dinamico che li influenzano, obiettivi veri e raggiungibili oggi, domani potrebbero non esisterlo più. Nelle scuole di economica, dove regna ancora l’idea di un mondo statico, dove per decenni non varia nulla, insegnano che la cosa più importante è l’obiettivo. Fissa bene il tuo obiettivo e fai di tutto per raggiungerlo, lui è li che ti aspetta. Già il giorno dopo la partenza, si è sicuramene sposta, dopo una settimana è sparito.

Dobbiamo cambiare le priorità, prima definiamo il nostro metodo di azione. Definiamo quali sono i valori che guideranno le nostre scelte quotidiane, le nostre azioni, da quelle più banali a quelle fondamentali per l’impresa. L’obiettivo deve essere dinamico come il mondo in cui si realizzerà e che lo regola. Se seguiamo il nostro metodo, arriveremo al nostro obiettivo, dovunque lui si troverà.

Ultimo elemento ma importantissimo: l'apertura. Bisogna che le azienda abbiano il coraggio di condividere il proprio sapere, superando la paura di perdere potere, per permettere a tutto il nuovo di entrare in azienda per farla evolvere. Per gli "esperti" questa è la cosa più difficile perché non sono disposti a condividere il proprio sapere perché perderebbero potere e dall'altra parte, essendo esperti, credono di sapere già tutto e non vogliono far fatica per imparare cose nuove. 
Le aziende devono soprattutto aprirsi ai giovani, che hanno la mente ancora aperta e voglia di imparare.

Qui sotto la scaletta e mappe mentali che ho utilizzato durante la presentazione.